La Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT)
Aaron Beck e Albert Ellis, due psicoterapeuti di formazione psicoanalitica, proposero negli anni ’60, in modo indipendente tra loro, un differente metodo clinico, basato sull’esistenza di una complessa relazione tra pensieri, comportamenti ed emozioni, specificando come i problemi emotivi siano il risultato di credenze disfunzionali che permangono nel tempo e si autoalimentano, nonostante la sofferenza sperimentata dall’individuo. Partendo da questo principio, i problemi psicologici, emotivi e di comportamento sarebbero influenzati dalle rappresentazioni cognitive dell’individuo, piuttosto che da eventi specifici e, pertanto, i disturbi emotivi possono essere interpretati attraverso l’analisi della relazione tra pensieri, emozioni e comportamenti.
Su queste assunzioni si fonda la terapia cognitivo comportamentale (Cognitive-Behaviour Therapy, CBT).
La CBT ha come obiettivo, quindi, quello di supportare i pazienti nell’individuazione dei propri pensieri ricorrenti e disfunzionali con cui interpretano la realtà e sostituirli con credenze e rappresentazioni più adattive e funzionali.
Ad oggi, la CBT è stata spesso identificata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) trattamento d’elezione per alcuni disturbi psicopatologici (quali i disturbi d’ansia), grazie ai risultati di numerosi studi in cui la CBT ha dimostrato risultati superiori o equiparabili a quelli di una terapia farmacologica.
Inoltre, la CBT è una terapia pratica, concreta in quanto mirata al sintomo e alla risoluzione dei problemi e pertanto è a breve termine.
Per approfondire
Castelfranchi C., Mancini F. e Miceli M. (2002), Fondamenti di cognitivismo clinico. Torino, Bollati Boringhieri. (https://www.ibs.it/fondamenti-di-cognitivismo-clinico-libro-vari/e/9788833956725)
Semerari A. (2000). Storia, teorie e tecniche della psicoterapia cognitive. Laterza, Bari. (https://www.ibs.it/storia-teorie-tecniche-della-psicoterapia-libro-antonio-semerari/e/9788842061557)